L'”ironia del destino” non è solo una semplice locuzione con la quale abbellire di tanto in tanto qualche frase. Esiste, giuro! Per me è il substrato che lega assieme due città: Arezzo e Terni, con vocazione simile e tessuto economico non molto distante. Due città che hanno plasmato il proprio volto industriale adeguandolo alle esigenze della modernità ma attingendo entrambe dal proprio passato: l’una dall’eredità artistica etrusca, l’altra dalla potenza della natura, che favorì qui l’alimentarsi di una fiorente industria nata a cavallo di due fiumi.

Due città camaleontiche, che s’assomigliano nella loro capacità di unire aspetti differenti tra loro, che hanno imparato a convivere disegnandone un profilo unico ed insolito per le Regioni di cui fanno parte. L’oreficeria e l’arte ad Arezzo, bizzarra città industriale nel susseguirsi di colline e filari dove paesaggio e agricoltura la fanno da padrone; l’acciaio e l’amore a Terni, città di contrasti forti tra le sfumature soffuse e placide della sua provincia.

L'”ironia del destino” è anche questo: l’amore e l’acciaio. San Valentino e le acciaierie. La poesia di rovine romane che ti sorprendono dietro un portone ed il fulgore delle macchine. Terni è la città che per amore ha un po’ adottato anche me ma è anche una città che ho avuto il piacere di scoprire a poco a poco, sfatando l’ingiusta fama che la dipinge esclusivamente come la “città dell’acciaio“, concentrandomi piuttosto sulla bellezza delle cose piccole, inaspettate. Quelle che sbucano da un angolo, ti sorprendono tra le palme di un giardino e per tutto il tempo se ne stanno lì silenziose, a trascorrere il tempo in attesa di uno sguardo curioso.

Non c’è un modo per descrivere questa città se non quello di lasciarsi guidare, a poco a poco. Non ci sono i classici itinerari da suggerire nè c’è un filo logico al mio racconto: ti farò scoprire Terni attraverso una costellazione di piccoli luoghi che mi hanno colpita e conquistata durante le numerose visite alla città. Iniziamo con due angoli medioevali inediti, romantici e suggestivi del centro storico e con due piccole curiosità!

Lo slargo tra via Cavour e via Santa Croce

Il primo luogo che preferisco di Terni è il piccolo slargo che si crea all’incrocio tra via Cavour e via Santa Croce, dove si affacciano da un lato Palazzo Mazzancolli, le cui massiccie balze in travertino bianco non riescono ad irrobustire quel sapore di eleganza discreta che il palazzo conserva ancora oggi. Dall’altra la sobria e composta facciata della piccola chiesa di Santa Croce, che sembra emergere dalla casa che le è stata costruita addosso, quasi a volersi appropriare di qualche barlume di santità ch’emanasse dalle mura. É un angolo insolito per questa città, che ricalca l’atmosfera di un piccolo borgo di pietra, soprattutto a Natale, quando il cielo s’illumina di piccoli fili di luce e gli schiamazzi delle vicine vie dello struscio sono lontani.

Via Sant'Alò a Terni, una via che ha catturato la mia attenzione
Via Sant’Alò a Terni, una via che ha catturato la mia attenzione – © Carlotta A. Buracchi

Una curiosità. A due passi da palazzo Mazzancolli c’è una via che ha catturato la mia attenzione di aretina: via Sant’Alò è una piccola traversa di via XI Febbraio, che incrocia via Cavour poco più avanti della Chiesa di Santa Croce. É curiosa dal momento che ad Arezzo “àlò” è un’espressione particolarmente comune nel quotidiano disquisire: interiezione, richiamo, intercalare ma anche saluto, esclamazione o semplice modo di manifestarsi, “alò” deriva dal francese “allons = andiamo!” ma ad Arezzo diventa un po’ tutto, un po’ il marchio di fabbrica della mia città. Sant’Alò invece è nient’altro che Sant’ Eligio di Noyon. Di umili natali, apprese l’arte dell’oreficeria a Limoges, si dedicò ad opere di carità ed evangelizzazione dei pagani senza mai venire meno al proprio mestiere, che lo condusse a ricoprire cariche diplomatiche presso la corte dei Re Merovingi, i quali lo nominarono orafo di corte e maestro della zecca. Sant’Eligio o “Alò” è oggi patrono degli orafi e dei numismatici, che – ironia del destino! – abbondano proprio nella mia città!

Il tratto di via Roma che conduce a Torre Barbarasa

Il tratto di via Roma dal fianco di Palazzo Spada conduce e s’estende oltre Torre Barbarasa. Solida, solenne ed ancora maestosa nonostante il rifacimento dopo i pesanti bombardamenti della II Guerra mondiale, la casa-torre Barbarasa s’incastona perfettamente tra le vetrine e gli edifici colorati dell’aggraziata via sottostante con la sua perfetta geometria e gli archetti pensili ad ingentilirne la cima. E non è la sola torre medioevale rimasta a Terni: lasciandovi guidare per le strade della città ed aguzzando gli occhi ne scoprirete altre, alcune ricostruite dopo i pesantissimi bombardamenti che subì la città, altre purtroppo assai poco conservate.

Una curiosità. A pochi passi da Torre Barbarasa, dove via Roma incrocia Largo Stanislao Falchi, alzate gli occhi ed ammirate la targa sul muro. Gli appassionati di Dylan Dog riconosceranno subito la melodia illustrata dal pentagramma, per tutti gli altri sarà una piacevole nota di colore sapere che la musica preferita dal protagonista fu il titolo dell’opera più famosa del compositore ternano Stanislao Falchi, che compose l’opera “Tartini” o “Il trillo del diavolo” alla fine del 1800 per presentarla in anteprima al Teatro Argentina di Roma il 29 gennaio 1899. Opera che ricosse un discreto successo, il cui nome “Tartini” è un tributo al primo, originale compositore della Sonata in Sol minore nota come “Trillo del diavolo”. A tal proposito un famoso aneddoto, riportato per la prima volta dall’astronomo francese Jérôme Lalande nel libro “Voyage d’un Français en Italie, fait dans les années 1765 et 1766”, vuole che il violinista Tartini nel 1713 abbia sognato il diavolo in persona suonare una musica “così singolare e bella, eseguita con tanta superiorità e intelligenza che non potevo concepire nulla che le stesse al paragone”. Un trillo così difficile da eseguire al violino che probabilmente fu ritenuto non appartenente a questo mondo!