Il sole batte sul volto di Ferdinando I, Granduca illuminato che per primo avviò la bonifica della paludosa Valdichiana, restituendo agli aretini terre fertili in cui coltivare appena fuori le mura della città. Lo stesso che a Firenze fondò l’Opificio delle Pietre Dure, ancor oggi importantissimo ente al quale si debbono i maggiori restauri del patrimonio artistico della nostra Arezzo. Ci troviamo sotto la sua statua in Piazza della Libertà, alle 10.00 di una domenica di Fiera Antiquaria non qualunque. Questo weekend si celebrano i 50 anni della manifestazione ideata da Ivan Bruschi, collezionista amante della sua città che con una geniale intuizione volle trasformarla nel centro più importante d’Italia per l’antiquariato. Era il 2 giugno 1968 e ad Arezzo mobili ed oggetti da collezione facevano bella mostra sotto i tendoni allestiti nella sua piazza più suggestiva, riportandola alla vivacità del passato, quando qui si teneva l’abituale Mercato delle erbe.

Siamo un bel gruppo di appassionati di fotografia e ci apprestiamo a partire alla scoperta della Fiera assieme a Francesco, local co-manager di IgersArezzo, branca aretina di IgersItalia, la più grande community italiana legata alla fotografia digitale, alla mobile photography ed al visual storytelling, radicata – come già avrai intuito dal nome – su Instagram. Obiettivo di questa mattina è raccontare i 50 anni di Fiera Antiquaria catturandone i dettagli più significativi ma anche scoprire tesori nascosti di questa città ed incontrare l’arte del gioiello, una delle punte di diamante dell’economia locale.

Da Piazza Duomo ci muoviamo verso via dei Pileati; la ripida discesa invasa dai banchi col campanile della Pieve che appare come un panneggio sulla destra è il miglior biglietto da visita per iniziare ad occhi sgranati la mattina. Qualche scatto di prova tra gli espositori che s’arrampicano fino alla cima della città ed entriamo nel cortile della Biblioteca. Una atmosfera quasi intima accompagna Gioiello in vetrina“, esposizione che riunisce alcune aziende orafe di Arezzo ed i loro preziosi monili. Lo stupore della luce trattenuta da una pietra; la purezza di una perla; la sensualità del corallo. Oppure la raffinatezza dell’oro e l’opulenza di un tessuto: i gioielli conquistano i miei occhi ed il mio obiettivo prima d’incontrare sotto gli ombrelloni di Confcommercio Arezzo Edoardo Bidini, guida turistica che ci accompagnerà in un suggestivo tour ricco di aneddoti nei meandri del centro storico. Non prima di scoprire i manoscritti più preziosi custoditi nella Biblioteca di Arezzo.

Entriamo in Biblioteca da un ingresso speciale: una sala ricavata dalla antica cappella del palazzo duecentesco, dove l’ultimo restauro ha riportato alla luce strati di affresco realizzati in epoche diverse, l’uno sopra l’altro. Il silenzio e la luce che filtra dalle finestre ci accompagnano al piano superiore, nella sala dove per noi sono stati esposti i manoscritti. L’odore dei libri mi riporta alla mente i tanti pomeriggi passati a studiare in questa stanza dal sapore medioevale, affacciata su una via poco battuta, oggi carica di turisti. Nella penombra risaltano le iniziali miniate, con i loro colori alternati ed i dettagli in foglia d’oro. Scorrendo le pagine dei libri liturgici e degli incunaboli ci si rende conto della dedizione impiegata nel trasmettere un messaggio attraverso i secoli: quelli che scorrono sotto i nostri occhi sono pezzi di storia del valore di rare pietre preziose. Una copia della Encyclopédie di Diderot e d’Alembert aperta alla pagina che illustra i tagli delle gemme suona come omaggio all’attività orafa della città.

Usciamo dalla Biblioteca per dirigerci verso via dell’Orto. Davanti al palazzo dove sorgeva la casa del Petrarca un pozzo in arenaria ci ricorda la novella di Tofano, citata dal Boccaccio nel Decamerone. La storia è quella di un aretino col vizio del bere, gelosissimo della bella moglie Ghita. La consorte, oppressa dalla gelosia del marito, si procura un amante che incontra durante la notte, quando Tofano è solito precipitare ubriaco nel sonno. Accortosi del tradimento questi decide di fingersi addormentato per svergognare la moglie, attende quindi l’uscita della donna e spranga la porta. Quando lei è di rientro trova la porta serrata ed inizia a implorare il marito perchè apra. Non ricevendo risposta escogita un inganno: minacciandolo di affogarsi nel pozzo prende una grossa pietra e la scaglia nell’acqua, spingendo Tofano a uscire di casa, preoccupato del suicidio. Lei prontamente rientra e chiude l’uscio dietro di sè, iniziando ad accusare a squarciagola Tofano di rincasare tardi ogni sera, sempre in preda all’ubriachezza. Il vicinato si sveglia e comincia ad accorrere sul luogo del misfatto, compresi i parenti di Ghita che prendono a malmenare l’uomo. Non sappiamo quanta parte di verità ci sia in questa storia ma a noi aretini piace pensare che un qualche Tofano abbia realmente popolato questa via un tempo.

Pochi passi all’ombra dei palazzi e siamo in Piazza della Libertà: davanti a noi Palazzo Cavallo, a destra quello della Provincia, in fondo le scale di travertino su cui svetta la sagoma della Cattedrale. I banchi della Fiera sono oggi un set insolito per le coppie di novelli sposi che si muovono tra mobili in forme sinuose e lampade dai grafismi anni ’60. Imbocchiamo la strada in discesa verso via Bicchieraia, una delle traverse più suggestive della città vecchia, trasformata per la Fiera in un vero e proprio ritrovo di artisti. Sul selciato sconnesso i cavalletti ritraggono paesaggi toscani ed espongono opere d’arte moderna, più avanti alcuni volontari invitano i bambini a sperimentare la tecnica del mosaico sotto l’occhio attento di Andreina Carpenito, caleidoscopica ideatrice del mosaico più grande e partecipato del mondo (maggiori info qui!). Entriamo nel chiostro dell’ex Convento dei Servi di Maria, annesso alla Chiesa di San Pier Piccolo ed al Teatro Pietro Aretino: nel silenzio di quel loggiato protetto da mura antiche trovano ancora una volta spazio pittori locali, riuniti nel Cenacolo degli Artisti Aretini.

Proseguiamo verso la Pieve, che fa capolino con le sue “cento buche” in fondo alla strada. Leggenda vuole che il campanile dovesse innalzarsi in altezza per cento aperture ma questo fu ciò che si potè realizzare ed oggi scarica tutto il suo ingente peso su un pilastro cintolato all’interno della chiesa. Tre ordini di colonne, l’una diversa dall’altra, sovrastano il portale principale, che ritrae per ogni mese dell’anno le attività agricole caratteristiche. Le iscrizioni montate al contrario sono testimoni di un’epoca in cui le maestranze erano spesso analfabete; le colonne invece ci ricordano della volontà di abbellire un luogo di culto popolare costruito in semplice pietra, che doveva fare in qualche modo sfoggio della propria bellezza. Ad Arezzo abbiamo un’affezione tutta particolare per la Pieve: con la cripta che custodisce le spoglie del santo patrono Donato e l’acustica perfetta che la rende palcoscenico ideale per cori che giungono qui da tutto il mondo, la Pieve di Santa Maria è rimasta la chiesa del popolo aretino, come un tempo fu della plebs di cui porta il nome.

Uno stretto passaggio affollato di banchi e turisti ci porta in Piazza Grande. É via di Seteria, dove una volta trovavano spazio le botteghe di tessuti della città. Ancora se ne trova traccia nei negozi che si aprono fin sulla piazza: la singolare apertura centrale racconta un periodo in cui il commercio avveniva su strada e le merci si esponevano sui due lati murati. Il negoziante presidiava da fuori il proprio spazio, il retro era invece usato come bottega artigianale o rimessa. Le case-torri abbellite degli stemmi colorati delle casate del territorio sorvegliano un flusso continuo che si muove tra i banchi degli antiquari. Non è difficile immaginare come dovesse presentarsi questo luogo all’epoca in cui si gareggiava in altezza e le faide tra famiglie obbligavano a costruire gli ingressi al secondo piano, con una scala retrattile che doveva esser ritirata al calar del sole. Passiamo sotto al Loggiato Vasariano, tra bambole antiche e vecchi monili. Una targa su uno dei pilastri ricorda che nel 1588 era fatto divieto alla plebaglia passeggiare sotto alle Logge così come sostare nell’atrio del Palazzo di Fraternita. Chissà se anche i trasgressori dell’epoca abbiano subito l’onta di venir esposti al pubblico ludibrio nei pressi della Colonna infame, che ancora troneggia nel lato superiore della Piazza.

Concludiamo il giro nel nuovo Largo dedicato ad Ivan Bruschi, inaugurato appena ieri. É quel fazzoletto di verde davanti al vecchio Palazzo del Podestà che oggi ospita la Biblioteca. Noi aretini lo chiamiamo da sempre, con affetto immutato, “Praticino” per le sue dimensione ridotte e forse anche per quel suo raccolto, minuto senso di frescura e quiete capace di trasmettere a chi decide di dedicarsi qualche istante di riposo sulle sue panchine, a due passi dal Corso. Fortuna vuole che mentre sostiamo sfilino gli sbandieratori della città: un tripudio di musica e colori per prepararsi alla prossima sfida. Appuntamento il 23 giugno con l’edizione in notturna della Giostra del Saracino: vinca il migliore!

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